Imprenditoria Illuminata
Ultimamente si parla spesso di Start-up ma sempre meno di PMI, come se questo relativismo imperante nel contesto socio-culturale del mondo occidentale volesse porre l’attenzione e sottolineare che il nuovo è bello, efficace efficiente e quindi vincente, mentre il “vecchio” no.
La realtà socio-imprenditoriale italiana è ben diversa da quella di altri paesi occidentali, ed è storicamente fondata su un tessuto di Piccole e Medie Imprese che viene a rappresentare più del 95% della realtà imprenditoriale italiana (in termini di numero di aziende).
Molte di queste sono imprese che rappresentano il fiore all’occhiello di un’imprenditoria italiana affermatasi nel mondo per la qualità del prodotto, per il suo design, per il suo eccellere nel panorama mondiale.
Tutte queste eccellenze si sono distinte dalle altre perché hanno saputo coniugare quel mix di capacità imprenditoriali, che possono riassumersi in, vision, capacità d’innovazione, internazionalizzazione, sviluppo di competenze interne, creazione del valore nei confronti di tutti gli stakeholders coinvolti nella filiera produttiva.
Alla base di queste eccellenze troveremo sicuramente un imprenditore appassionato del proprio lavoro, ma anche un imprenditore cosciente del fatto che, per sviluppare il valore della propria azienda, non basta avere e realizzare una buona idea, ma bisogna anche saperla sviluppare e farla crescere.
Sviluppare e far crescere un’idea non è cosa da tutti, perché richiede doti particolari, alcune delle quali possono essere apprese con l’umiltà di conoscere i propri limiti, ma altre sono intrinseche al proprio modo di essere, al proprio carattere. Mentre su questo secondo aspetto c’è una minore possibilità di cambiamento e di evoluzione, sul primo c’è moltissimo da fare.
L’umiltà di conoscere i propri limiti, unitamente alla volontà di volerli superare per far sì che l’azienda cresca e prosperi, ma anche la capacità di riconoscere ed affrontare momenti di crisi, è una delle doti indispensabili per un imprenditore di successo. Dote che non necessariamente va palesata all’esterno, per evitare il rischio di “scalfire” la credibilità che ogni imprenditore vuole, correttamente, sempre dimostrare.
Un percorso logico di questo tipo porta e deve portare l’imprenditore a sviluppare iniziative collaterali e di supporto allo sviluppo del suo “prodotto”, iniziative che devono tendere ad investire tempo e denaro nello sviluppo di:
- un’organizzazione efficiente che consenta di valorizzare la componente professionale e quindi umana delle risorse coinvolte, in tutte le funzioni aziendali, dalle attività di logistica, alla ricerca, dalla produzione alla amministrazione;
- un controllo di gestione che consenta:
- la definizione di procedure aziendali snelle ed efficaci, cioè non meramente burocratiche, che guidino ogni risorsa aziendale nella esecuzione del proprio lavoro secondo criteri guida efficaci ed efficienti, ma che consenta anche di monitorare il proprio lavoro e quello degli altri al fine di rilevare eventuali scostamenti rispetto ai parametri predefiniti, che non per forza devono essere sintomo di situazioni patologiche, ma che vanno comunque identificati, quantificati e spiegati;
- la definizione di cruscotti aziendali che consentano a ciascuna unità organizzativa di monitorare il proprio andamento, per garantire una marcia all’unisono di tutte le unità organizzative verso gli obiettivi che si è posta l’azienda.
- la definizione di un piano triennale e di un budget annuale che permetta all’Azienda di verificare il proprio andamento e la sua conformità o meno alle attese.
- Un’innovazione continua, di prodotto e di processo, che, tramite la ricerca e sviluppo, consenta di essere pronti a far evolvere l’originario prodotto o a svilupparne uno nuovo, o a sviluppare nuovi processi produttivi, qualora le condizioni di mercato lo rendano necessario.
Che l’imprenditore riesca a sviluppare questa sensibilità è già un grande risultato, ed, al tempo stesso, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per garantire il successo dell’impresa.
L’efficienza complessiva di un’azienda è, infatti, paragonabile a quella di un orologio nel quale tutti gli elementi hanno una loro funzione specifica e devono svolgerla senza “intoppi”.
Essenziale pertanto è la necessità che questa “cultura gestionale” venga trasfusa nella struttura organizzativa per permearne l’operatività quotidiana.
Approfondendo in questo articolo il tema organizzazione/risorse umane ci possiamo quindi domandare:” Ma allora devono diventare tutti imprenditori ? Assolutamente no. Ma si deve tendere a far comprendere a tutte le risorse che essi rappresentano elementi di un’unità organizzativa complessa e che il loro quotidiano operare deve essere svolto con un obiettivo che non può e non deve essere solo e soltanto quello della percezione di un compenso.
La formazione e la crescita culturale e professionale delle risorse vengono quindi a rappresentare un elemento essenziale del successo di un’impresa, perché le risorse umane che la compongono più vengono formate e più saranno in grado di arricchire con il proprio percorso di sviluppo personale e professionale la stessa Impresa che le ha stimolate in tal senso.
Questa ultima appare una verità talmente banale e indiscutibile che tutti si aspetterebbero di vedere cifre interessanti stanziate nei budget delle aziende alla voce formazione. Si, in effetti nei budget, ancora, si riescono a vedere degli stanziamenti in tal senso, anche se, spesso, in misura non così importante, ma poi che succede ?
Basta vedere i consuntivi per rendersi conto che sempre più spesso le cifre realmente spese sono pressoché pari allo zero. Le motivazioni di tale fenomeno sono le più varie, la più banale è l’incapacità di programmare l’attività delle singole risorse per far si che si possano ritagliare il tempo necessario alla formazione, le altre possono fare riferimento alla continua emergenza operativa o alle carenze di organico che impongono di sfruttare tutte le risorse per la gestione corrente.
La scarsa sensibilità verso il tema della “formazione continua” dei propri collaboratori si dimostra anche con lo scarso utilizzo delle risorse messe a disposizione dagli organismi preposti, che consentirebbero di realizzare la formazione a costi molto bassi se non a zero costi.
Si cita l’esempio dei Fondi interprofessionali che finanziano la formazione dei lavoratori presso le imprese aderenti, promuovendo la formazione continua e la redistribuzione alle aziende delle risorse dedicate, per legge, alla formazione. Risorse costituite da trattenute dello 0,30% sulla busta paga di ogni lavoratore del settore privato, delle aziende pubbliche e di quelle esercenti i pubblici servizi.
Gli imprenditori illuminati, cosa fanno invece ? Si rivolgono alle scuole superiori per creare percorsi di stage professionalizzante in azienda, per crearsi un vivaio di futuri operai, impiegati, e perché no di quei futuri manager che lo assisteranno e lo affiancheranno nello sviluppo dell’Impresa.
Fantascienza mi direte. No, non è fantascienza, ma purtroppo sono casi rari, che andrebbero però sempre di più replicati da parte degli imprenditori mediante lo sviluppo di una diversa e più efficace vision generale del business e di lungo periodo.
La nuova legislazione del Jobs Act ha sicuramente consentito la stabilizzazione di tanti operai e impiegati che magari da anni navigavano nel sottobosco della contrattualizzazione atipica con co.co.pro. e co.co.co., rinnovati tante volte. Contratti che non avevano senso logico, se non quello di risparmiare sui costi del personale e avere la flessibilità nel ridurre gli organici, se necessario.
Tralasciando valutazioni di giustizia sociale, che esulano da queste riflessioni, l’unica considerazione che è necessario condividere è che, così facendo, si corre il rischio che la motivazione e quindi il rendimento, di un giovane che si trova in una situazione di precarietà socio-professionale, che non può programmare un proprio percorso di vita, e che si vede costretto ad adottare soluzioni di ripiego, che nella peggiore delle ipotesi lo vedono rimanere nella casa genitoriale, siano molto basse.
Pertanto è proprio sulla motivazione e sulla capacità dei giovani di apportare positivi cambiamenti che bisogna investire, piuttosto che immaginare di continuare a proporre contratti di collaborazione continuativa, anche al di fuori dei pochi casi espressamente previsti dalla legge.
Naturalmente, compito degli imprenditori e della loro struttura manageriale, è quello di governare le risorse umane, premiandone l’efficienza e valorizzando la capacità di raggiungere gli obiettivi piuttosto che misurare la quantità di lavoro svolto.
Solo in questo modo, ossia con una struttura efficiente e motivata, è possibile sviluppare il fatturato aziendale ed incrementarne i margini, che è l’unica alternativa da percorrere, soprattutto in periodi di crisi di mercato.
Non v’è rischio più grande da parte di un imprenditore o dei manager aziendali, di non essere in grado di condurre (e non governare) le risorse umane che gli sono state affidate, fornendo stimoli e spunti necessari per consentire di valorizzare la prestazione lavorativa e di esplicitare le proprie capacità di partecipazione al lavoro di gruppo, raggiungendo infine, con gli altri colleghi, gli obiettivi originariamente condivisi.
Marco Rossini
Co-fondatore e Partner MOD – Management on Demand