Formazione e mercato 4.0

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Come ha recentemente dichiarato in un convegno nelle Marche il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, “industria 4.0 significa fare prodotti in chiave “sartoriale” o semi sartoriale secondo una cultura industriale. L’Italia e le nostre imprese lo fanno con quest’ottica, per il mondo, da sempre.

In questo percorso, l’università e la scuola hanno una grande responsabilità: garantire ai giovani percorsi e modelli formativi che esaltino la dimensione educativa ed esperenziale.”

La rivoluzione in atto portata da Industria 4.0 sta cambiando rapidamente, specie nelle imprese più innovative, professioni e competenze e non sempre la “formazione” delle risorse umane sono in linea con le necessità del mercato: molto spesso le imprese trovano competenze esclusivamente “teoriche”, e/o un elevato gap “digitale”.

La Commissione europea mostra il disallineamento tra le skill offerte oggi e quelle che saranno chieste in futuro nella sua comunicazione intitolata: “On a renewed EU agenda for higher education”. In molti Paesi europei, secondo la Commissione, esiste una domanda non soddisfatta di laureati in scienze, tecnologie, arti, matematica. Inoltre, tutti gli studenti devono acquisire skills trasversali: autonomia, pensiero critico, problem-solving.

L’Ocse stima che, da qui al 2020, più di un terzo delle competenze che saranno considerate cruciali e quindi ad alta domanda per i posti di lavoro futuri, hanno oggi un’ importanza secondaria:

  • le social skills – capacità di persuasione, intelligenza emotiva, abilità nell’insegnamento;
  • le capacità cognitive – creatività, ragionamento analitico;
  • le process skills – capacità di ascolto, critical thinking.

Verranno quindi valorizzate, oltre l’indispensabile percorso scolastico di qualità, anche le esperienze sociali che i ragazzi hanno fatto: lo sport, le esperienze teatrali e performative, il volontariato, la presenza in associazioni.

Inoltre, visto che intelligenza artificiale, robotica, nanotecnologia, biotecnologia, stanno trasformando quello che facciamo e come lo facciamo, tutte le professioni legate alla tecnologia avranno moltissime richieste non soltanto in imprese “tecnologiche”. Infatti, già oggi, più della metà degli occupati in professioni Ict risulta impiegata in settori non-Ict.

In Italia, però, come evidenziato dall’Istat, la percentuale delle forze lavoro con competenze digitali elevate è considerevolmente inferiore rispetto all’insieme dell’Unione europea (il 23% contro il 32%) ed è il più basso tra i 5 maggiori paese europei.

In un quadro del genere formazione e apprendimento mirato rappresentano una scelta obbligata per lavoratori e imprese: c’è bisogno di puntare su contenuti di apprendimento “appropriati” anche per la riqualificazione dei lavoratori anziani o spiazzati dal progresso tecnologico.