Outsourcing e la gestione del costo del lavoro dell’impresa esterna

 a cura del Dott. Antonio Loguercio Polosa e del Dott. Francesco Melidoni 

outsourcing

Premessa

Con il termine outsourcing (da out, “fuori”, e source, “fonte”) si intende comunemente quel modello organizzativo dell’impresa consistente nell’affidare ad un terzo, persona fisica o soggetto collettivo (service provider), lo svolgimento di una o più funzioni che, nell’esperienza comune aziendali, vengono considerate interne (cfr., da ultimo, Maugeri, Esternalizzazione di funzioni aziendali e “integrità” organizzativa nelle imprese di investimento, in BBTC, 2010, 439).

Il fenomeno, in grande espansione a livello internazionale, ebbe inizio negli anni 70 del secolo scorso, allorché il modello precedente di organizzazione imprenditoriale, quello c.d. fordista, espressione di una realtà economica fondata sulla produzione di massa e caratterizzato da un accentramento della fase produttiva, prevalentemente industriale, in grandi strutture aziendali, entrò in crisi per l’eccessiva staticità e rigidità rispetto alle continue evoluzioni del mercato produttivo, accelerate dall’avvento e dalla diffusione della tecnologia.

Proprio l’esigenza di snellimento della struttura produttiva, funzionale ad una risposta più immediata alle evoluzioni della tecnica, diedero impulso al fenomeno, più ampio, del “decentramento produttivo” – di cui l’outsourcing non è che una manifestazione – nell’ambito del quale sono generalmente ricondotte tutte “le iniziative tese a spostare all’esterno dell’azienda spezzoni produttivi prima ricompresi nel processo di fabbricazione interna”.

È proprio, invero, all’interno di un simile scenario, caratterizzato dal declino dell’impresa fordista e dalla diffusione dell’esigenza di flessibilità, che trovano massima diffusione i processi di esternalizzazione, utilizzati dalle grandi imprese quali strumenti di rinnovamento e ristrutturazione dell’organizzazione produttiva, attraverso la suddivisione in fasi del ciclo produttivo, precedentemente esaurito all’interno di esse, e la ripartizione tra una pluralità di soggetti, tra di loro legati da vincoli contrattuali di vario genere.

L’obiettivo perseguito dall’imprese attraverso il ricorso all’outsourcing è quello di migliorare la qualità e l’efficienza complessiva, attraverso la possibilità, da un lato, di ridurre i costi, trovando l’imprenditore maggiormente conveniente acquistare all’esterno i beni o servizi di cui ha bisogno, quando il loro costo sul mercato si dimostri inferiore a quello necessario per produrli e, dall’altro, di affidare a terzi specializzati la gestione di una fase produttiva, così da potersi concentrare sul proprio core business.

Nel momento in cui tale strategia aziendale è adottata dal management, si pone l’esigenza sia di valutare ed implementare le modifiche organizzative atte a recepire (nella committente) i processi esternalizzati (interazione con l’azienda esterna e procedure di controllo), sia di esaminare (ed approvare) la struttura dei costi dell’impresa esterna, al fine di valutare la congruità e sostenibilità degli stessi processi esternalizzati, anche per prevenire ricadute negative sul business della committente (per questioni connesse al vincolo della solidarietà ed al mantenimento degli standard qualitativi).

Nei processi di esternalizzazione di attività essenzialmente labor-intensive con elevata presenza di manualità, il costo del lavoro e la produttività da rispettare assumono una primaria importanza strategica, sia nella committente (che evidentemente intende rendere variabile, la componente “costo del lavoro”) che nell’impresa esterna, che dovrà gestire la pressione contrattuale della stessa committente, sia durante la definizione del valore della commessa che nella fase di esecuzione della stessa.

Un sistema “diverso” di contratto collettivo

Un sistema di gestione del costo del lavoro che, garantendo il rispetto della legge, possa interpretare l’esigenza del contenimento del costo del lavoro e dell’incremento della produttività dei lavoratori, impone la necessità di valutare – e quindi scegliere – quale contratto collettivo applicare. La scelta è sicuramente importante e determinante per gli obiettivi prefissati di gestione del costo del lavoro, stante la possibilità di fare ricorso sia a più opportuni CCNL sottoscritti dalla CGIL, CISL e UIL (anche per il settore cooperativistico) che a quelli appartenenti alla cosiddetta “contrattualistica minore”: ovvero, a quella struttura di contratti collettivi nazionali sottoscritti dal Sindacato (maggiormente rappresentativo a livello nazionale) CISAL.

A tal proposito, si premette che l’Organizzazione Sindacale CISAL è ormai riconosciuta come struttura maggiormente rappresentativa essendo anche ammessa come componente stabile del CNEL, nel quinquennio 2017-2022. Una designazione frutto di un attento processo di valutazione e ponderazione da parte del Ministero del Lavoro del grado di rappresentatività di tutte le organizzazioni sindacali e delle associazioni di categoria che si sono proposte per la ricostituzione dell’organo consultivo di rilievo costituzionale.

I contratti collettivi sottoscritti dalla CISAL, si basano su una “scommessa” tra Azienda e Lavoratori finalizzata a garantire un rilancio dell’azienda e quindi la sostenibilità dei posti di lavoro. In particolare, è previsto una retribuzione fissa meno onerosa rispetto al corrispondete contratto delle “Triplice”, la presenza di istituti normativi meno “incisivi” ed un interessante impulso alla contrattazione di secondo livello che lascia spazio ad incrementi retributivi solo a fronte del raggiungimento di concordati livelli di produttività.

La “scommessa” è proprio questa: destinare risorse retributive, non certo alla posizione lavorativa in quanto tale, ma all’incremento della produttività. Evidentemente il lavoratore avrà una “rendita di posizione” più bassa rispetto a quanto garantito dai soliti sistemi contrattuali; ma nello stesso tempo potrà acquisire (al raggiungimento della produttività concordata) contenuti retributivi aggiuntivi (detassati e decontribuiti); e quindi ottenere sia una retribuzione complessivamente maggiore, ma, nello stesso tempo, vedere anche la propria azienda “reggersi” sul mercato economico.

In ogni caso, la scelta del CCNL da applicare (individuato nell’ambito di quelli sottoscritti dalla “Triplice” oppure appartenenti alla contrattualistica minore) è strategica, in quanto la “ricaduta” sull’Azienda è ovvia: minor casto del lavoro, maggiore flessibilità, sviluppo della produttività. Le aziende che hanno seguito tale sistema sono ormai un partner affidabile nei processi di outsourcing strategico.

Un esempio è fornito dalla comparazione del costo del lavoro in una azienda che effettua attività di movimentazione merci e trasporto nel settore della GDO.

Un operaio qualificato, inquadrato con il CCNL “Multiservizi” (della cd “Triplice” ossia CGIL CISL e UIL) determina un costo del lavoro di circa il 16-18% superiore rispetto a quello calcolato per un lavoratore, di pari mansione, inquadrato con la contrattualistica CISAL. Allo stesso modo, lo stesso operaio, inquadrato con il citato “Multiservizi” si caratterizza per un costo inferiore, rispetto ad un corrispondente inquadramento nel CCNL Logistica e Trasporti (sempre della “Triplice”).

Ma la vera opportunità è che grazie ad una oculata scelta dell’inquadramento contrattuale, si genera un costo del lavoro più basso, creando le condizioni per poter “investire” tale differenziale di costo, nello sviluppo della produttività.

Strumenti per realizzare l’outsourcing

L’outsourcing non rappresenta, dal punto di vista della sua qualificazione giuridica, un nuovo tipo di contratto, bensì, come detto, una tecnica di organizzazione dell’impresa, la cui attuazione si realizza attraverso il ricorso ai normali contratti di scambio, quali l’appalto, la somministrazione, la locazione, la vendita, nonché i contratti atipici ovvero i contratti associativi, quali i contratti di società, l’associazione in partecipazione o la joint venture.

In particolare, quando l’operazione di esternalizzazione viene attuata attraverso il ricorso ad alcuni tipi di contratto, quali l’appalto di servizi o la somministrazione, si parla di simple outsourcing, in quanto l’affidamento in capo ad un terzo di un determinato processo produttivo non è accompagnato dal trasferimento dell’azienda, o del ramo di essa, strumentale al suo espletamento.

In questo caso, all’interno dell’organizzazione del soggetto esternalizzante si verifica un esubero di personale di ammontare pari al numero dei dipendenti addetti al servizio esternalizzato, esubero che potrà essere trattato mediante riqualificazione e ricollocazione del personale in altri posti disponibili ovvero, in assenza, tramite procedure di riduzione di personale (collettive od individuale a seconda del numero dei lavoratori interessati e delle dimensioni aziendali).

Laddove, invece, vi sia un trasferimento d’azienda, il grado di ricorso al mercato è massimo, posto che l’imprenditore scorpora una fase produttiva che gestiva lui stesso e la cede ad un terzo (transfer outsourcing). In questi casi, l’azienda può essere trasferita sia con un contratto di vendita sia attraverso alcune operazioni societarie, quali il conferimento in una società di nuova costituzione, la scissione attraverso il trasferimento di una funzione del ciclo produttivo ad una società preesistente o di nuova costituzione, con assegnazione di azioni o quote di quest’ultima in favore dei soci della scissa.

 In questo caso, in attuazione di quanto previsto dall’art. 2112 c.c., i dipendenti addetti al ramo di azienda trasferito passeranno alle dipendenze dirette ed immediate del cessionario, previo esperimento, per le aziende che occupano più di quindici dipendenti, di apposita procedura di consultazione sindacale, nel cui ambito discutere delle eventuali condizioni di lavoro all’esito del trasferimento (CCNL da applicare, orario di lavoro da osservare, etc.).

Chiaramente ogni operazione di outsourcing deve essere ricompresa in una strategia societaria che comporti efficientamento, allo scopo di migliorare le condizioni in cui la società performa sul mercato, non disperdendo, pertanto, il know how insito nelle conoscenze dei lavoratori.