Mancati incassi escludono il reato di omesso versamento d’IVA

IVA

I mancati incassi delle fatture escludono il reato di omesso versamento di IVA

 In questi giorni ci sono stati moltissimi articoli che tendevano, almeno dai titoli, a minimizzare gli effetti derivanti dal mancato versamento dell’IVA. Tutti questi articoli prendevano spunto dalla sentenza della Cassazione 2614/2014, del 21 gennaio 2014. Visto il grande numero di e-mail che ci sono arrivate, chiedendo conforto su tale interpretazione, ci sembra necessario fare chiarezza, al fine di non dare informazioni che, in un momento di grave crisi come quello che stiamo vivendo, rischiano di mettere gli amministratori delle società in situazioni molto spiacevoli.

La dimostrazione che il mancato pagamento dell’IVA sia dipeso realmente dall’impossibilità incolpevole di effettuarlo possono escludere il reato di omesso versamento Iva. È questo lo spunto che emergere dalla sentenza 2614/2014 depositata il 21 gennaio 2014 dalla Cassazione, terza sezione penale.

La vicenda su cui la Corte si è pronunciata è la seguente: l’amministratore di una società veniva denunciato per aver omesso il versamento Iva alla prevista scadenza, per importi superiori a 50.000 euro. L’imputato si difendeva invocando il momento di particolare crisi. Il procedimento si concludeva con la condanna, confermata in appello. I giudici di merito, a fronte dell’eccezione mossa dall’imputato sull’impossibilità di far fronte ai versamenti e quindi di assenza dell’elemento soggettivo, rilevavano che la difficoltà di pagare non aveva alcun pregio: il soggetto passivo dell’imposta ha solo l’obbligo di versare l’Iva che, di conseguenza, era stata utilizzata per altri fini.

Nel ricorso per cassazione la difesa riproponeva la mancanza dell’elemento soggettivo del reato e, più in particolare, l’assenza del fine di evadere le imposte, trattandosi di società che svolgeva attività ben determinate ma che purtroppo si trovava in un momento di grave crisi economica. La Corte, pur respingendo il ricorso, ha effettuato un’attenta disamina della pronuncia delle Sezioni unite penali sul punto (sent. 37424/2013), giungendo ad interessanti conclusioni. Infatti, partendo dal presupposto che l’Iva viene riscossa una volta emessa la fattura (il che, come sappiamo, purtroppo, non è sempre vero) e sussiste quindi un obbligo di “accantonamento” da parte del contribuente per eseguire il successivo versamento, aveva ritenuto integrato il reato anche in presenza di crisi di liquidità.

Di conseguenza, sia parte della dottrina sia della giurisprudenza hanno determinato che non vi è esclusione del reato anche in presenza di crisi di liquidità dell’imprenditore a meno che non vi sia dimostrazione che l’omesso versamento non fosse dipeso da scelta dell’imprenditore.

Ora la sentenza della Suprema corte sembra proprio avallare tale interpretazione. Ed infatti pur escludendo, nella fattispecie, l’invocata crisi economica da parte dell’imputato e quindi respingendo il suo ricorso, i giudici di legittimità, in base alla pronuncia delle Sezioni unite espressamente citata, hanno ritenuto che la deduzione riguardante la crisi economica fosse stata generica e in fatto non recava, in particolare, indicazioni specifiche né atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole dell’adempimento tributario del versamento.
Da ciò dovrebbe conseguire che, ove tali elementi fossero stati puntualmente provati, il contribuente non avrebbe risposto dell’illecito penale contestato.

Pertanto si dovrebbe dimostrare che il contribuente non sia venuto meno, in tutto o in parte, al dovere di accantonamento dell’imposta precedentemente incassata richiesto dalle Sezioni unite. Quindi, si dovrebbe provare, che l’omesso versamento sia conseguenza diretta di tali mancati incassi delle fatture emesse.

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